sabato 4 gennaio 2020

Sorry We Missed You, regia di Ken Loach



SORRY WE MISSED YOU
scritto da Paul Laverty
regia di Ken Loach

visto al Cinema Massimo di Torino il 2/1/2020

presenti:
una signora che ha deciso di inondare con una cinefilia urlata, la sala prima della proiezione, criticando lo stile ozpetekiano, secondo lei, troppo ripetitivo
un anziano molto indeciso che ha cambiato posto quattro volte
una ragazzina con lo smartphone acceso durante la proiezione, scampata per un
miracolo laico alla lapidazione
la pomposissima sigla del 4K

Quando non hai molto denaro bisogna concentrarsi sull'essenziale. Non c’è il tempo per filmare i tramonti ed è un bene perché non sono indispensabili alla storia. La povertà obbliga al rigore, ad andare al cuore delle cose.
(Entretien avec Ken Loach, “Positif” ottobre 1994)


Coreografie sociali di Paul Laverty, l'avvocato Laverty (come Piesiewicz, l'intenso sceneggiatore di Kieślowski), collaboratore di Loach dai tempi di "Carla's song" e la coppia sembra non patire la crisi del ventiquattresimo anno.
Nella Newcastle "bianconera" (gocciola realtà calciofila lo scambio tra Ricky, supporter dei Red Devils, e un "cliente" stratifoso delle Gazze), schizzi geometrici di disumanità dis/organizzata, la Voce del Padrone nell'era buia della gig economy dove non sei assunto ma "inserito", giungla urbana nella quale il primo comandamento recita: "Non si scherza con i clienti" al posto del "Io sono il Signore Dio tuo" del polifonico Piesiewicz.
Ricky (uno strepitoso Kris Hitchen) e l'Angoscia, ma la traduzione del titolo affibbiata in Italia al capolavoro di Cukor non è attinente, perché questo è un vero ed ininterrotto gaslighting messo in atto dalla società dei consumi nei confronti di Ricky e della sua famiglia; il nostro eroe Ricky, con il suo Viaggio rateizzato, un Viaggio che è iniziato con la grande crisi del 2008 quando lavorava nell'edilizia.
Ora deve acquistare un furgone per consegnare i pacchi e deve essere veloce per evitare le sanzioni e le segnalazioni dei "clienti" (siamo/sono tutti clienti, anche le persone assistite dalla moglie di Ricky, così recita il primo comandamento della cooperativa presso la quale lavora Abby).
Abby, moglie madre e badante, Abby la buona che piano piano si sgretola sotto i colpi di spazzola dell'anziana "cliente", ed è in questa semplice azione che risiede l'anima del film: le lacrime di Abby, accudita da chi dovrebbe accudire, un ritorno simbolico all'infanzia come antidoto al veleno inoculato dalla società.
Abby che deve gestire i conflitti tra Ricky e Seb, il figlio adolescente ribelle che, con la sua reazione fisica al sequestro dello smartphone, rende plastica la possessione social.
Alla figlia undicenne Liza tocca l'unico raggio di sole del film, con quel pasto consumato assieme al padre, piccola aiutante che cerca invano di trasformare lo schiavismo in gioco:
un raggio di sole che cade sullo stesso pianale del furgone dove il padre tiene una bottiglia per le emergenze, perché il tempo per urinare non è previsto nel Viaggio dell'Eroe.