mercoledì 29 dicembre 2021

I GIGANTI, regia di Bonifacio Angius


I GIGANTI 
scritto da Bonifacio Angius e Stefano Deffenu
regia di Bonifacio Angius 

visto il 28/12/2021 su CHILI

presenti:
la snervante messa in pausa dello streaming su CHILI: non si diventa la piattaforma preferita da Franceschini senza merito.
il 15 che sferraglia.
una giornata uggiosa senza mutandine rosa ma con la vita mal spesa che scorre sullo schermo   

"Mio padre diceva che ero una capretta ansiosa di precipizi"
Maria Lai

Non c'è la montagna ma ci sono i giganti e "La Scalogna" nel terzo lungometraggio di Bonifacio Angius, unico film italiano in concorso a Locarno 2021 e distribuito in sala nello scorso autunno dalla società  "Il Monello Film" fondata dal regista, con scarso successo di pubblico.
Cinque uomini, lo sballo come fine ultimo della creazione, in un casolare lontano da Dio e dagli uomini fanno a pugni con il loro passato: flashback didascalici, porto abusivo di voice over e a tratti una meccanicità drammaturgica in uno spazio che però non rischia mai il banale, grazie allo sguardo empatico che non scade nel giudizio e ad una anarchia visiva, marchio di fabbrica del regista autodidatta, che riesce ad attutire le cadute.
Angius, che nel film scrive con le ombre e firma il montaggio, si ritaglia la parte di un loser che seduto sull'unto sofà cita il "lacchè rimpinguato" di Majakovskij e seziona la discesa nell'abisso dei tempi pandemici con solitudini che si scontrano per la loro incapacità di ascolto: contro il pessimismo paralizzante servirebbero gli Anticorpi e qui ci sono, con Pino, ma non bastano ad esorcizzare le gabbie dell'immobilità.
E poi non rimase nessuno, come nella filastrocca (o forse sì se vogliamo adiagiarci sul mistero), i giganti non sono quelli di Mont'e Prama evocati da Riccardo (il convincente Riccardo Bombagi), non c'è nulla di eroico nella loro autodistruzione, sono corpi che soffrono senza incontrarsi, che tentano di abbattere le distanze con la violenza: urla, pistole e strangolamenti poco credibili (senza cercare la perfezione kieslowskiana del Decalogo 5 ma risulta artefatta l'assenza di reazione), con un'autoassoluzione (vanamente inseguita se consideriamo lo iato tra intenzione e azione dei personaggi e la tragedia che bussa alla porta), più che centrata se leggiamo il bollettino di guerra dei femminicidi, che qui assume i contorni cupi della misoginia.
Il kammerspielfilm di B.A. cade a tratti nella trappola della retorica, abbozza derive psichiche meritevoli di maggior stratificazione e perde il sentiero della semplicità cercando di inerpicarsi, con chiodi arrugginiti, sulla vetta dell'autorialità ma è incisivo quando accarezza l'irrazionalità del mito con pennellate oniriche riuscendo a mantenere intatta l'organicità del racconto e la purezza d'intenti.