mercoledì 17 aprile 2019

Menocchio, un film di Alberto Fasulo






MENOCCHIO

di Alberto Fasulo

visto al Cinema Massimo di Torino il 16/04/2019

presenti il regista
e
chi ha il compito durante la serata di presentare il film che purtroppo ha definito "romanzo" 
il saggio di Carlo Ginzburg "Il formaggio e i vermi"
suscitando la risatina di qualche spettatore.
risatina di bassa intensità perché di spettatori torinesi si tratta.

libertà e prigionia di Domenico Scandella detto Menocchio, mugnaio friulano condannato per eresia nell'Italia del 1500.
visione necessaria nell'epoca dell'oscurantismo salviniano e dei veronesi congressi delle famiglie, Fasulo (anche operatore) miscela ombre sacre e luci profane sul viso di Menocchio, incarnato da Marcello Martini, attore non professionista, un ininterrotto Effetto Kulešov con barba candida e mani vissute.
Fasulo apre con un parto frammartiniano (una mucca in questo caso), e sprazzi di innocenza ancora incontaminata: anche nel gesto naturale del parto risiede l'eresia di Menocchio che non vuole e non sa spiegarsi il concepimento verginale di Gesù.
è nella descrizione delle dinamiche della comunità che Fasulo risulta più incisivo: un cinema dei corpi al lavoro (dove la voce del padrone indossa la tonaca), che risulta fluido in contrapposizione alla ieraticità statica del clero (una staticità accentuata anche dalla mancanza di tecnica degli attori non professionisti), e in antitesi alla parola già decapitata da Artaud che però, diabolicamente, qui succhia la crudeltà artaudiana risultando manipolatoria e classista rispetto alla purezza del dialetto sovversivo.
troppo timido nella composizione del reale e dell'irreale per minare con carne e sangue i pilastri del Sistema, nella sua totalità il film ha la forza di un'invettiva vergata con un pennarello rosa: a un passo dall'abiura, nell'inconscio dormiente e collettivo di Menocchio cercano invano di farsi largo a spallate Bachtin e il rovesciamento carnevalesco, la cultura popolare con la sua organicità terrigna, la volontà di dominio della maschera che osserva con gli occhi irriverenti dei riti ancestrali.
brucia Menocchio nel sogno, brucia con la croce che indossa, brucia insieme al simbolo dell'oppressione, ma è un fuoco fatuo perché manca di coraggio e di risolutezza, un dionisiaco che non urla ma balbetta.
il regista confessa, nel dibattito post proiezione, che si è imposto una sorta di autocensura per la sequenza del sogno forse per mitigare le difficoltà che potevano sorgere per il reperimento dei fondi e la distribuzione del film.
in realtà la parola "Autore" dovrebbe racchiudere la capacità di impiccare l'autocensura con il tratto di corda della morale comune.
ad ogni costo...

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