TECHOTA
scritto da Kantemir Balagov e Anton Yarush
regia di Kantemir Balagov
visto al Cinema Ambrosio di Torino il 5/08/2019
presenti:
la locandina del film con il cognome del regista inventato (Bagalov invece di Balagov)
faretti segnapasso fastidiosissimi per l'alto grado di luminosità
faretti segnapasso fastidiosissimi per l'alto grado di luminosità
tredici ultrasettantenni
io
Nal'čik 1998: gruppo di famiglia in un interno ebraico ed esterno cabardo, non è il Cut di Naderi ma è nell'assenza del taglio frenetico l'elegante violenza della struttura filmica perché Balagov sceglie di privilegiare la camera fissa e dei morbidi piano-sequenza per creare vibrazioni nei/dai corpi, con dei movimenti attoriali organici e azioni fisiche sempre ottimamente strutturate: la furia che la protagonista scatena sul busto di donna dona consapevolezza anche all'oggetto; tu chiedi chi era Stanislavskij, Ilana/Darya Zhovnar ti risponderà.
Il talentuoso ventottenne(!) Kantemir Balagov, allievo nei corsi di cinema di Sokurov (qui anche in veste di produttore) tenuti presso l'università di Nal'čik, gira con la sicurezza di un veterano la sua storia, realmente accaduta, del rapimento di un giovane promesso sposo ebreo ortodosso. Ma è solo il pretesto per descrivere la vita della sorella Ilana che sfida le convenzioni familiari, etniche e religiose per non soffocare nel/la sua natura ribelle, una rivoluzione interiore in fieri immersa in strade dissestate, palazzoni ripetitivi e salopette da apprendista meccanico nell'officina del padre, con un tentativo struggente di ritagliarsi lo stesso amore che la madre nutre per il fratello: per una mimesi completa a volte è sufficiente un giubbotto, ma resta una semplice imitazione se l'oggetto d'amore reale è ormai inesorabilmente lontano.
La scrittura delle luci alimenta con eleganza l'impianto drammaturgico, strobo blu fanno da contrappunto ad una danza selvaggia e solitaria dove Ilana sembra ritrovare se stessa, il paradzanoviano colore del melograno della verginità perduta illumina l'alcova improvvisata (appare più una sfida alle imposizioni dei genitori che un atto d'amore, il fazzoletto rosso sangue portato da Ilana a banchettare sul tavolo del matrimonio combinato) e il candore delle nuvole, unica e fugace concessione in un ambiente tenacemente opprimente.
Le crude violenze cecene sono roba vintage da nastro VHS e tubo catodico, inabissamento nella realtà eltsiniana per Ilana ed i suoi amici, talmente amici che nella fattanza le ricordano che gli ebrei sono utili solo quando diventano sapone.
É nel suo amore con l'imponente ragazzo cabardo il punto di fuga di Ila, una dinamicità protettiva profusa da abbracci che trova il suo apice sulle scale metalliche, ammirevole la gestione dello spazio filmico, dove un pianto catartico invade Ilana e impatta con la ieraticità dell'ambiente familiare, ambiente dominato dalla madre, donna solo apparentemente inflessibile che relega il padre a semplice comprimario e i figli alla ricerca affannosa di un respiro libero.
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